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Cervello-sistema immunitario, nuovi legami

Concluso a Venezia il congresso dell’Associazione Italiana di Neuroimmunologia, abbinato ai corsi della Società Europea di Neuroimmunologia. Dalla malattia di Alzheimer ai problemi psichiatrici, dalla SLA all’autismo, appaiono sempre più evidenti le connessioni fra il sistema nervoso e quello difensivo dell’organismo

di Paolo Rossi Castelli

Come si intrecciano il sistema immunitario e quello nervoso? Come “lavorano” insieme, ma anche come si condizionano, o addirittura danneggiano, a vicenda? Il tema, così nuovo, interessante e controverso, ha portato sull’isola di San Servolo a Venezia, negli edifici dell’ex-manicomio (ora raffinato centro d’arte e di convegni), circa 250 ricercatori e clinici, per il congresso dell’AINI (Associazione Italiana Neuro Immunologia) e per il sedicesimo corso della European School of Neuroimmunology. Lunga e variegatissima la serie dei temi affrontati in cinque giorni di lavori e di studio (il congresso e i corsi si sono conclusi venerdì 30 giugno), ma tutto è ruotato di continuo intorno a un perno centrale: la sempre più evidente presenza del sistema immunitario (man mano che avanzano le ricerche) dietro a un numero quantomai ampio di patologie del sistema nervoso, che i neurologi e gli psichiatri avevano invece considerato “autonome” per decenni, o per secoli, e curato di conseguenza (in molti casi senza risultati efficaci).

LE RICERCHE SI ALLARGANO - «Fino a 10-15 anni fa la neuroimmunologia si occupava quasi soltanto di sclerosi multipla - conferma Roberto Furlan, responsabile dell’Unità di Neuroimmunologia Clinica all’ospedale San Raffaele di Milano. - Da allora, gli ambiti di questa disciplina si sono allargati moltissimo, e adesso riguardano anche le malattie neurodegenerative come il Parkinson o l’Alzheimer, o la SLA, o altre patologie ancora. Perché ci si è resi conto (e questa è stata davvero una rivoluzione) che anche il sistema immunitario ha un ruolo significativo, spesso negativo, nell’origine di queste patologie. Solo 15 anni fa - continua Furlan - sarebbe stata considerata un’idea bizzarra, se non completamente fuori luogo. Adesso non è più così... E il ruolo delle cellule difensive dell’organismo, e del loro modo di interagire (a cominciare dai processi infiammatori), è studiato anche in rapporto all’insorgenza di molte forme di tumore, o in settori ancora più inattesi come l’ictus (dove il ruolo del sistema immunitario appare decisivo, per quanto riguarda il recupero delle funzionalità motorie e cognitive). Insomma, ormai diventa sempre più chiaro che è difficile separare le due funzioni, i due sistemi (quello immunitario e quello nervoso, appunto)».

I COLLEGAMENTI CON LA PSICHE - Ma c’è un ulteriore salto (anche culturale) da compiere: gli studi più recenti dimostrano che il sistema immunitario può anche influenzare i nostri comportamenti, la nostra psiche. Chiunque abbia avuto una banale influenza l’ha sperimentato: durante la malattia, non viene voglia di stare in mezzo agli altri o di impegnarsi in attività di lavoro. Il cervello disattiva tutta una serie di attività sociali, perché “sente” che il sistema immunitario è in subbuglio (riceve una serie di segnali), e ci porta a isolarci, come rivelano, sulla rivista Nature, gli studi di Jonathan Kipnis, dell’Università della Virginia (Stati Uniti). «Kipnis ha dimostrato - dice Furlan - che esiste un complesso sistema di messaggi molecolari, utilizzati dal cervello per capire se il sistema immunitario è nella sua piena funzionalità. Se tutto è a posto, e i segnali inviati dall’apparato difensivo lo confermano, il cervello “autorizza” i comportamenti sociali. Altrimenti, li frena, fino a bloccarli. Tutto questo - aggiunge Furlan - avviene, probabilmente, per una protezione del branco, mi verrebbe da dire: per ridurre, cioè, la possibilità di contagio degli altri membri del gruppo. Insomma, è un meccanismo evolutivo, molto antico, che trova ancora posto nel nostro codice genetico».

ATTENZIONE PUNTATA SULL’AUTISMO - Anche gli psichiatri si stanno muovendo nell’ambito della neuroimmunologia, ed emergono sempre maggiori prove sui modi in cui il sistema immunitario influenza la psiche. L’australiano David Brown, per esempio, ha dimostrato che, modulando i meccanismi difensivi dell’organismo, si possono curare anche alcuni disturbi psicologici. Gli occhi sono puntati, in particolare, sull’autismo, soprattuto da quando il DSM 5 (il Diagnostic and Statistical Manual, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, la “bibbia” degli psichiatri americani) ha allargato i criteri per classificare questa patologia, cambiando addirittura il nome (non più autismo, appunto, ma disordini dello spettro autistico). «Si è visto - dice Furlan - che in certi casi esistono substrati organici (in particolare, infezioni durante la vita prenatale) che sono correlati fortemente ai disordini dello spettro autistico, soprattutto durante la fase dello sviluppo. Questa nuova consapevolezza ha creato contrasti anche forti nel mondo scientifico, soprattutto in Francia, dove una parte degli psichiatri “classici” si è opposta tenacemente a tali teorie. Ed è comprensibile... Non appare facile, per loro, accettare l’idea che l’autismo, da sempre curato tramite la psicanalisi (ma con scarsi risultati, in verità), possa venire affidato anche ad altri specialisti».

Forti collegamenti fra il sistema immunitario (in particolare, fra la cosiddetta immunità innata) e il sistema nervoso sono emersi anche nella depressione maggiore. Anche in questo caso, però, molti ricercatori si sono dimostrati dubbiosi, perché - dicono - è vero che l’attivazione del sistema immunitario (in particolare, del meccanismo delle infiammazioni) appare spesso presente nelle persone con forme gravi di depressione, ma non è ancora completamente chiaro se l’infiammazione sia una conseguenza o una causa. Ben vengano, comunque, questi dubbi e gli studi che cercheranno di scioglierli.

LA "PULIZIA" DELLE SINAPSI - La neuroimmunologia si muove anche in altri settori poco esplorati, come quello che studia il ruolo della microglia (in pratica, delle cellule che si occupano della difesa immunitaria del sistema nervoso centrale) nella “pulizia” delle sinapsi, cioè dei punti di contatto fra una cellula nervosa e l’altra. «In ogni momento della giornata il cervello è molto “plastico” - spiega Furlan - e continua a formare nuove sinapsi (migliaia e migliaia di nuovi punti di contatto fra i neuroni), a seconda delle attività che siamo chiamati a compiere. Ma poi, soprattutto durante la notte, il cervello stesso avvia un’operazione di eliminazione delle sinapsi che non servono più, o che si erano rivelate inefficaci. E alcuni studi suggeriscono che questa delicata e importante operazione venga affidata a cellule immunitarie, come la microglia, appunto». 

CAUSA-EFFETTO NON FUNZIONA PIÙ - Tutto è in divenire, nell’ambito di questi studi, con un cammino ancora lungo e, come dicevamo, con un autentico salto culturale, non sempre facile da accettare. «La verità - dice Furlan - è che l’idea “meccanicistica” della biologia, che descrive il corpo come una sorta di orologio svizzero, sta mostrando tutti i suoi limiti e non riesce più a spiegare tante cose. Dobbiamo avere il coraggio di compiere il salto che la Fisica ha già fatto decenni fa con la meccanica quantistica. In altre parole, anche nella biologia dobbiamo cominciare a parlare di reti che fluttuano e non di singoli meccanismi governati dal principio di causa-effetto. Quel meccanismo è valido solo se si guardano le cose da molto lontano. Se, invece, si entra all’interno delle singole cellule (o, nel caso della meccanica, se si cerca di capire cosa succede nelle singole molecole), quella “rigidità” non funziona più, anzi è fuorviante. I biologi più avanzati lo sanno e stanno cercando altre spiegazioni. Dobbiamo fare un salto qualitativo. Ci servono matematiche interpretative nuove».

Data ultimo aggiornamento 4 luglio 2017
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Vedi anche: • I misteriosi legami fra l’autismo e l’intestino


Tags: autismo, immunologia, malattia di Alzheimer, malattia di Parkinson, ospedale San Raffaele, sclerosi multipla



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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